Sull’ideologia gender, che ha invaso e colonizzato la cultura occidentale, c’è un equivoco. Lo scopo delle nuove filosofie postmoderniste sembra essere la fluidità delle identità sessuali, la negazione del corpo sessuato in favore di una autodeterminazione identitaria che prescinda dalla differenza maschio-femmina. Non è in realtà così: questo è il contorno ideologico, ma il vero obiettivo è la scomparsa della donna, e soprattutto la fine della maternità. Il gender non investe uomini e donne allo stesso modo: l’individuo indifferenziato a cui si tende non è, a ben guardare, indifferenziato. E’ maschio. Oggi l’uomo può essere tutto, fare il padre e la madre, coprire tutti i ruoli e tutte le possibilità, in un’ampia gamma che va dal femminile al maschile. Basterebbe ricordare la famosa copertina dell’Espresso con il maschio incinto, pubblicata durante il dibattito sulla legge Zan. Che il pensiero gender sia concentrato sull’attacco al corpo materno e all’identità femminile, lo si vede anche nel nuovo vocabolario.
E’ la parola donna che non si può più dire, perché è l’identità femminile a essere sotto assedio. Si vuole distruggere l’immensa forza simbolica della maternità, il binomio madre-figlio, rappresentato nella nostra storia e nella nostra cultura dalla Madonna con il bambino in braccio. I segni di questa cancellazione sono evidenti, nei fenomeni sociali ed economici come in quelli estetici e linguistici. Basta vedere Drusilla Foer a Sanremo: non esiste un corrispettivo femminile della Foer o di altri personaggi simili, non esistono donne di spettacolo che con successo si travestono da maschi. Ormai in tutti i testi internazionali, scientifici o istituzionali, la parola “donna” è bandita, e sostituita da definizioni come “persona con le mestruazioni”; addirittura nei documenti della società di ginecologia, negli Usa, non si adopera più il termine donna.Pochi giorni fa un dibattito a cui ho partecipato, che aveva come titolo “La città è donna”, è stato censurato da Facebook: il titolo non era inclusivo. Per l’uomo, però, questo non avviene, le parole uomo/maschio sono sempre pienamente legittime. Lo stesso accade sul piano delle tecnologie della procreazione, dove lo squilibrio è evidente. La maternità è frantumata, e i diversi elementi sono immessi nel grande mercato globale del figlio. Ci possono essere fino a 5 madri, ma il padre biologico è ancora uno solo, e non perché non si possano manipolare in laboratorio i gameti maschili; semplicemente non c’è interesse a farlo. Il vecchio detto “mater semper certa” si è rovesciato.
Questo processo distruttivo avviene perché la maternità è il fulcro di ogni gruppo, di ogni comunità umana. Tutta la vita umana nasce di donna: è l’esperienza unificatrice che accomuna tutti gli esseri umani. “Nato di donna” è un’espressione che troviamo più volte nella Bibbia. E’ nel grembo materno che impariamo ad essere due, è grazie al rapporto madre-figlio che si fa esperienza della cura, dell’accoglienza dell’imperfezione, della solidarietà e dell’amore gratuito, che poi sappiamo proiettare nella relazione con l’altro. Per affrontare l’onda anomala della nuova antropologia in modo adeguato è fondamentale capire che la distruzione del femminile e del materno è il vero punto di arrivo delle nuove utopie della perfettibilità, che oggi ci investono con violenza, per raddrizzare il famoso legno storto dell’umanità. Dobbiamo aprirci al pensiero delle donne e alla loro voce.