Il 23 Ottobre del 2018 la Corte Costituzionale ha esaminato la questione di legittimità dell’art 580 del Codice penale nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione.
La questione era stata sollevata con Ordinanza del 14 febbraio 2018 dalla Prima Corte di assiste di Milano nel proc. penale a carico di Marco Cappato, imputato per aver agevolato il suicidio di Fabiano Antoniani, detto Fabo, aiutandolo a recarsi in Svizzera alla clinica Dignitas dove poi è venuto il decesso.
Sin dal 2018 con l’Ordinanza n. 207 la Consulta aveva chiesto al Parlamento di rivedere la disciplina del reato al suicidio, ovvero la disciplina dell’omicidio del consenziente (Art. 580 c.p.) e rinviato la decisione all’udienza del 24.09.2019.
Il provvedimento che dispone il rinvio ha destinato non poche pagine per sostenere che la norma penale impugnata, e che tuttavia deve essere rivista, ha qualche ragione di permanenza nell’Ordinamento, ad esempio per tutelare le persone più deboli e in difficoltà per le quali il suicidio è una tentazione da non assecondare.
Il 24.9.2019 la Consulta con sentenza 242/2019 ha indicato segnali di criticità dell’Articolo 580 C.P ma si è astenuta dall’indicare come superare la problematica, sottolineando di non poter decidere come e cosa fare e ribadendo al contempo l’assoluta sovranità del Parlamento.
Il Parlamento quindi viene vivamente sollecitato ad esprimersi con azioni legislative condivise.
Il Parlamento ha lavorato dapprima alla proposta di Legge del 5.6.2019 AC 1888 di Pagano e altri, introducendo la ivi esposta circostanza attenuante, secondo una prospettiva che noi condividiamo e che abbiamo ribadito nell’Agenda. Tuttavia, ora la Camera sta lavorando (proprio in questi giorni!) sulla PDL Bazoli, che appare peggiorativa della citata sentenza 242/2019 e che si caratterizza per gravi e concreti rischi eutanasici.
Nel frattempo il referendum sull’eutanasia ha fatto il suo corso e la Suprema Corte Costituzionale lo ha respinto, inequivocabilmente sottolineando che sarebbe stato meglio che il quesito non parlasse di eutanasia ma di omicidio del consenziente.
Sulla base dei criteri previsti dalla Costituzione, la Corte Costituzionale ha dichiarato il referendum inammissibile perché mirato proprio sull’omicidio del consenziente, che è inammissibile al pari di ogni proposta di eutanasia legale.
Oggi noi non possiamo e non dobbiamo permettere che si continui a parlare di leggi eutanasiche, ma insistiamo con forza su possibili positivi interventi che riaffermino prospettive di eubiosia.
Qualsiasi problematica riguardante la sofferenza non può giustificare la barbarie di un omicidio: non è ammissibile che entri nella discussione legislativa il disumano ragionevole giustificato con sentimenti di compassione o di pietà. Non possiamo risolvere questi delicati problemi attraverso atti di disumanità velata da pietà.
Procedendo così, si va a negare il valore della vita umana, proprio quando questa vita merita più valore perché fragile: significa affermare che la vita di un uomo non è sempre un valore assoluto e che quando diventa fragile o non conformata ai canoni della mentalità corrente, può essere scartata.
Secondo perversi canoni di mentalità oggi in voga, più fragili siamo e più scartabili diventiamo.
L’eutanasia è tipica cultura dello scarto!
I problemi riguardanti il fine vita e la stessa vita, nell’aspro percorso del suo ultimo miglio, devono essere incanalati su altri binari di importanti riflessioni e scandire sempre e comunque positive scelte di eubiosia.
Innanzitutto dobbiamo riaffermare che non possiamo procedere tout court con leggi eutanasiche quando ancora occorre lavorare alacremente per rendere operativa su tutto il territorio nazionale la legge 38/2010, che tra l’altro richiede ampi e opportuni finanziamenti, ormai non più rinviabili.
Le cure palliative e la sedazione del dolore sono esigenze ineludibili che vanno attenzionate, sostenute, strutturalmente organizzate, finanziate e rese fruibili in ambiti ospedalieri, territoriali e domiciliari.
Viceversa sono passati 12 anni dalla legge 38/2010, ma siamo ancora all’anno zero e cosa veramente assurda nella realtà italiana non sono stati mai perseguiti nemmeno gli standard minimi su base macroregionale e nazionale.
Propriamente parlando, oggi l’essere umano fa l’esperienza del morire in strutture che non garantiscono la “care”, in realtà nelle quali ogni tipo di relazione è carente, in luoghi ove nessuno si è mai posto il problema che la relazione di aiuto è l’essenza centrale ineludibile di ogni obiettivo medico orientato alla cura. Questa dolorosa realtà diventa la motivazione più sostanziale che fa partire e sostiene il disumano ragionevole, l’uccidere per pietà, ponendo assurde e mistificanti giustificazioni.
Medici e operatori sanitari vogliono riaffermare con forza che il disumano ragionevole, che serpeggia in moltissimi ambiti sociali non deve per alcun motivo inquinare l’ambito medico-sanitario, ambito privilegiato ove medici ed operatori sanitari incontrano la sofferenza, incontrano pazienti gravemente fragili e feriti.
Occorre che gli ospedali siano ospitali: non possono continuare ad essere stabilimenti di cura, aziendalmente organizzati per dispensare cure frettolose “a tempo”.
Vorremmo luoghi nei quali “a braccia aperte” ci si rivolga agli ammalati per accoglierli, ascoltarli, abbracciarli, assisterli, dando loro il massimo che abbiamo e il tempo che dobbiamo: E’ proprio in questi momenti e in queste circostanze che si opera la scelta dei gesti da fare o non fare, che si decidono i trattamenti da iniziare, da mantenere, da interrompere o da evitare e si svolgono tutte le azioni pur difficili e complesse, scientificamente validate.
Tali scelte rappresentano un capitolo importante del fare medicina oggi da difendere come patrimonio di scienza, di arti sanitarie e di etica medica.
Ogni sproporzionalità ed ogni ostinazione terapeutica sono da bandirsi e da rimuoversi! Occorre portare avanti con competenza e determinazione solamente cure proporzionali, ridefinendo modelli assistenziali di azioni proporzionate. Occorre costruire specifiche reti assistenziali nelle quali cure palliative e terapie del dolore non dovrebbero mai mancare in tutti gli ambiti e soprattutto in riferimento a patologie ad andamento cronico ed evolutivo.
L’assistenza, per essere qualificata in questo campo deve prevedere una vera e propria “controrivoluzione” necessaria per far ritrovare alla medicina la strada che riporti il paziente al centro e guidi verso azioni di scienza, di rispetto, di complementarietà, di conoscenza, di peculiare attenzione psicologica, sociale e spirituale.
Abbiamo molto da imparare se ci caliamo accanto al malato per cogliere l’essenza delle sue emozioni e quelle della sua famiglia, anche sotto il profilo psicodinamico.
Occorre migliorare i rapporti ospedale-territorio-famiglia-domicilio, ponendo specifica attenzione alle modalità assistenziali tra parallelismi e complementarietà.
Nei luoghi di assistenza abbiamo bisogno gli uni degli altri: espletando al meglio la care, terremo unita la dimensione curativa sia quella palliativa, senza escludere nessuno dai benefici che ne derivano.
E’ necessario resistere alla seduzione di collocare le cure palliative nel vuoto assoluto,
in un vuoto che si è voluto creare laddove la cultura moderna, radicalmente immanentista ha disimparato a guardare oltre il limite della vita terrena.
La medicina per quei malati che non vanno verso la guarigione ma verso la conclusione della vita deve trovare sostegno nella più ampia disponibilità e sollecitudine, nella speranza di salute e di importanti orientamenti di “bene-essere”.
Le cure palliative e la sedazione del dolore rappresentano una medicina essenziale per l’uomo, che attraverso questi aiuti rimane vivente sino alla morte.
La società non deve più intravedere nelle cure palliative un assunto che parte dalla morte e nemmeno considerarli presidi che aiutano a morire.
Nell’Agenda noi chiediamo che prima di sostenere leggi eutanasiche si proceda con urgenza ad approvare leggi per il sostegno efficace dei caregiver. Ancora, sollecitiamo massimo impegno per reperire risorse necessarie per una riorganizzazione di una medicina e sanità di prossimità, per sviluppare al meglio obiettivi primari di assistenza domiciliare h24, anche attraverso la telemedicina.
E’ necessario promuovere l’accompagnamento anche attraverso forme di solidarietà sociale, familiare e amicale, valore quest’ultimo ancora esistente e da riscoprire in termini di sussidiarietà. Auspichiamo dunque che si approvi una legge che non escluda ma garantisca ogni possibile erogazione di assegni di cura da destinare alle famiglie o ad operatori disponibili ad agevolare e rendere possibile la domiciliazione della sofferenza.
La mediazione con i familiari e l’attivazione degli stessi nel percorso di “care” può rappresentare un elemento supplementare che di rimando va ad offrire un supporto e va a placare quella vena di inquietudine che non cessa mai di scorrere all’interno delle molteplici situazioni cliniche, sia croniche che complesse che ritroviamo nelle più severe malattie.
Noi vogliamo una medicina che metta sempre al centro e nella massima evidenza il malato, che non deve essere solo qualcuno di cui si parla, ma qualcuno con cui si parla. Questa organizzazione sanitaria non deve più solo contare solo sulla buona volontà di qualche isolato professionista, ma deve essere medicina professionale e specialistica istituzionale che faccia incontrare l’ars curandi con l’ars moriendi.
L’attività sanitaria non è e non deve essere solo un fàcere, (cioè basata sull’efficienza e risultato) ma è anche un àgere, perché deve agire sotto il principio della bontà, della rettitudine, della competenza, della compassione, interpretando il significato profondo dell’attività umana e contenendo ogni possibile significato di valori.
La frettolosa semplificazione delle procedure di morte attraverso l’accesso all’omicidio del consenziente è paurosa per la società ma fa paura anche ai moltissimi malati cronici che non vorrebbero mai avere accanto un consenziente che, anziché sostenerli nell’ultimo faticoso miglio di vita, li accompagni a “farla finita”.
Noi, operatori sanitari, assolutamente non vorremmo e non dovremmo, mai avere “occhi aziendali” attenti solo all’economia piuttosto che al paziente. Non possiamo obbedire a regole di rigorosa economia ma dovremmo obbedire prioritariamente a regole etiche e morali, meno aziendalistiche o economicistiche, ma portatrici di quei valori e di quei livelli esistenziali e profondi che sono rappresentati dall’universo personale dei valori, e nello specifico di quelle persone che abbiamo in cura e per le quali vogliamo rispettare ogni possibile interiore risorsa.
Lo dico da medico con sempre più convinzione: la società ha bisogno di una medicina per la vita, soprattutto di una medicina che sia capace di ascoltare e capire quelle parole ultime dell’ammalato che, se inespresse, lo rendono prigioniero in una gabbia dalla quale volentieri vorrebbe e uscire se solo qualcuno volenteroso l’aiutasse.
Da medico desidero ribadire che quel malato che per gravi condizioni non va verso la guarigione ma verso la conclusione della vita è più malato degli altri e deve essere attenzionato ancor più degli altri perché è e rimane un vivente sino alla morte.
Noi desideriamo che si elabori una legge per una cura diversa, per una cura competente, una cura che sia inglobata nel più ampio processo di presa in carica del paziente; oggi dovremmo sempre più parlare di quell’essenziale passaggio dalla famiglia all’ingresso in ospedale, e viceversa e pretendere che l’ammalato non sia mai spogliato del suo vissuto e delle sue storie esistenziali. Rivendichiamo una organizzazione sanitaria sostenibile, una medicina che si faccia umile, attenta ai fragili e non li abbandoni mai.
Potenziare l’applicazione su scala nazionale della legge 38/2010 con carattere di obbligatorietà è un atto di civiltà.
E’ atto di civiltà garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore in tutti gli ambiti assistenziali, in ogni fase della vita, anche sul nascere (attraverso gli hospices perinatali); è atto di sensibilità operativa operare al meglio per la “care” di qualsivoglia patologia ad andamento cronico ed evolutivo, sapendo rivolgere lo sguardo a quelle malattie rare, a volte ignorate, per le quali tanto spesso e a gran voce impropriamente pronunciamo: “Non c’è più nulla da fare!” .
In conclusione, comprendere e capire sino in fondo i rischi gravissimi di una deriva eutanasica, è una grande occasione, per i medici, per gli operatori sanitari e per tutti.
Allora questa nostra contemporanea assemblea rappresenta grande e privilegiata occasione per capire tutti i gravissimi rischi di una deriva eutanasica. E’ occasione che riguarda tutti, ma in modo particolare i malati, che meritano più umanità e compassione.