Seminario per la presentazione di
«Ditelo SUI TETTI (Mt 10,27)» Pubblica Agenda Sussidiaria e Condivisa
Cari amici e care amiche,
ringrazio per l’invito a introdurre questo seminario, cui partecipano diverse associazioni, per la presentazione di “Ditelo SUI TETTI (Mt 10,27). Pubblica Agenda Sussidiaria e Condivisa”. Mi sia permesso un saluto deferente al Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, che a breve terrà una lectio sul tema proposto. Saluto anche i partecipanti a questo incontro che affronta tematiche di grande attualità, sulle quali è importante il contributo dei cattolici.
Da oltre duemila anni il Cristianesimo attraversa la storia, si confronta con epoche sempre nuove, “abita” la città dell’uomo. I cristiani sono nel tempo, senza essere del tempo. Vi operano da cittadini impegnati a costruire la polis, ispirati dalla loro fede e dagli insegnamenti evangelici. Tutto questo vale ancora oggi. Poche settimane fa, infatti, abbiamo dato vita a Firenze all’incontro “Mediterraneo frontiera di pace”. Un incontro straordinario al quale hanno partecipato circa 60 Vescovi del Mediterraneo e che aveva come tema la cittadinanza: ovvero il rapporto tra la città di Dio e quella degli uomini. Seguendo l’ispirazione di un grande esponente del laicato cattolico del Novecento come Giorgio La Pira, i Vescovi cattolici di tre continenti, Europa, Asia e Africa, si sono riuniti nella città di Dante per costruire uno spazio di dialogo, riflessione e preghiera. Per La Pira, il Mediterraneo è il “grande lago di Tiberiade” in cui si affacciano le tre culture che appartengono alla “triplice famiglia di Abramo”: nel nome di questa comune radice, sosteneva La Pira, si può trasformare un luogo storicamente diviso, in uno spazio di concordia e di incontro. Mai come in questo momento, a mio avviso, è necessario seguire quest’antica profezia di pace.
Più volte Papa Francesco ci ha esortato a comprendere il “cambiamento d’epoca” che è in atto, cercando di viverlo in fedeltà agli insegnamenti di Gesù, accanto e in armonia con tutte le donne e tutti gli uomini, figli di Dio, che incontriamo sul nostro cammino. Ebbene, con la speranza alimentata dalla certezza che il Signore è con noi “tutti i giorni”, come credenti accogliamo la sfida di vivere il cambio d’epoca, carico di segnali positivi, di impegno, di solidarietà, di crescita umana, e altrettanto segnato da molteplici orizzonti di sofferenza, povertà, conflitto, incomprensioni. Stiamo vivendo anni molto difficili: prima la crisi economica del 2008, poi la crisi europea dei migranti, quindi la lunga pandemia che ha sconvolto le nostre vite. Adesso, la drammatica guerra che si combatte in Ucraina. Un conflitto sanguinoso in una terra che conosco bene per averla visitata e per aver celebrato insieme al suo popolo. Occorre fermare questa inutile carneficina che produce solo morte e distruzione. Giorgio La Pira diceva che la preghiera è “la forza motrice della storia”. Questa ennesima guerra ci richiama al nostro dovere di carità, accoglienza e preghiera.
Le riflessioni che ci proponiamo con l’evento odierno intendono sollecitare la ricerca di una rinnovata presenza dei cristiani nello spazio pubblico, nel quadro di una società democratica e composita, con una pluralità di visioni e prospettive, con espressioni valoriali, convinzioni etiche, posizioni politiche assai diverse, e non sempre convergenti per l’edificazione del bene comune. Qual è, dunque, il ruolo dei cattolici nell’odierna società? Certamente occorre proporsi come interlocutori capaci di ascoltare ciò che emerge dalla nostra società. È quella stessa propensione all’ascolto che vogliamo sperimentare con il Cammino sinodale, per essere “Chiesa in uscita”, comunità cristiana al passo con i tempi. Ciò richiede, d’altro canto, fedeltà alla Dottrina sociale della Chiesa e come bussola del nostro agire sociale la salvaguardia e la valorizzazione della dignità della persona umana in ogni momento dell’esistenza.
La questione antropologica, evidenziata in molti documenti del magistero sociale della Chiesa, ci aiuta a comprendere il punto nodale di ogni impegno sociale. Quale umanità consente di affrontare la crisi ecologica odierna? Quale comprensione della persona ci aiuta a non soccombere in crisi come quella sanitaria dovuta alla pandemia? C’è sempre il rischio di dimenticare la fragilità della natura umana e della creazione: tutto è dono e va accolto nella logica della solidarietà colma di gratitudine. Spesso assistiamo invece ad antropologie che non riescono a fare i conti con la persona concreta, storicamente segnata, costitutivamente relazionale e bisognosa dell’altro. Ci si dipinge onnipotenti, abili risolutori di ogni questione, ciechi confidenti nella tecnocrazia, idolatri del denaro in campo economico, egocentrici e forti delle proprie certezze. È bastato un virus invisibile a spazzare molte illusioni. La tentazione di non pensarsi in relazione finisce per sposare derive utilitaristiche, che fanno dei poveri «vite di scarto», che vedono nella disabilità e nella debolezza un inutile peso, che sostituiscono alla giustizia del lavoro per tutti l’assistenzialismo filantropico. Il quadro antropologico è fondamentale per abitare un cambiamento d’epoca capace di salvaguardare la dignità della persona. Restare umani è frutto di una costante vigilanza e non si improvvisa.
Ai cattolici italiani è dunque chiesto uno sguardo a 360 gradi che chiama in causa alcuni binomi fondamentali: cultura e formazione, per una piena, non superficiale, vera comprensione del tempo presente e delle sfide che lo caratterizzano; solidarietà e sussidiarietà, principi della Dottrina sociale che possono aiutare a modellare una società più giusta, equa e moderna; diritti e doveri, che sempre devono procedere di pari passo, così che gli uni e gli altri promuovano un senso comunitario improntato al rispetto reciproco, alla responsabilità collettiva, al bene pubblico in sintonia con la promozione di ogni vita umana.
L’ho detto tante volte e lo ripeto oggi: è necessario l’impegno dei cattolici per dare un nuovo significato alla nostra società globalizzata e nichilista, indifferente e individualista. Accanto alla necessità morale di ricostruire ciò che è distrutto, c’è un’urgenza spirituale di ricucire ciò che è sfilacciato e un dovere sociale di pacificare ciò che è nella discordia. Quello che serve, a mio avviso, è la cultura del “pane e della grazia”, come avrebbe detto La Pira, per dare vita a una società nella quale a tutte le creature venga assicurata una vita dignitosa, ma le cui fondamenta siano saldamente radicate nella Grazia di Cristo.
È doveroso lavorare per il bene comune dell’Italia, in un orizzonte europeo e internazionale, con carità e responsabilità, mettendo da parte opportunismi e radicalismi, e senza soffiare sul fuoco della pur comprensibile frustrazione e della protesta sociale. Siamo in una stagione nella quale avvertiamo l’esigenza della concordia, di un dialogo che sappia abbattere i muri delle divisioni, recuperando uno spirito costruttivo di cui il nostro Paese ha immenso bisogno.
Necessitiamo pertanto di un’agenda che contempli al primo posto la cultura della vita, da accogliere, tutelare, curare, accompagnare in ogni sua stagione; dobbiamo ugualmente porre in primo piano la famiglia, che richiede scelte coraggiose atte a favorire la formazione dei nuovi nuclei, a sostenere i redditi più bassi, a promuovere una conciliazione tra la dimensione professionale e quella domestica. C’è bisogno di una scuola accogliente per i nostri ragazzi, di lavoro per i giovani, di efficaci tutele per le donne, di un welfare in grado di tendere la mano a tutti i soggetti fragili. Occorre dare una nuova centralità, infine, ai poveri, agli emarginati e agli sfruttati.
Sappiamo che le preoccupazioni e le necessità del momento sono infinite, ma non possiamo fare dei passi indietro. La fede va vissuta ogni giorno, sperimentando lo stile del Samaritano, il quale mette da parte i propri piani e i propri interessi per farsi prossimo. Auspico che questa iniziativa sia caratterizzata e attraversata dallo sguardo accogliente del Samaritano: quello, cioè, che sa accompagnare la vita in tutte le sue fasi, anche nella sofferenza estrema, e non procura mai la morte. Vi auguro buon lavoro e vi ringrazio ancora per l’impegno con cui contribuite alla costituzione di una Pubblica Agenda Sussidiaria e Condivisa.
Roma, 9 marzo 2022
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