Perché i cattolici sono irrilevanti?
di Marco Invernizzi
È questa la domanda che si pone Andrea Riccardi sul Corriere della Sera del 18 agosto. Da studioso del movimento cattolico ne ricorda le tappe principali, per poi arrivare a riconoscere che «i cattolici italiani non sembrano rappresentare un interlocutore nel Paese», con l’eccezione di Papa Francesco. Peraltro sempre Riccardi ricorda come «la Chiesa è la più grande rete sociale nel Paese». Indubbiamente i cattolici sono diventati da tempo una minoranza, anche se non ne hanno assunto le caratteristiche missionarie, ma rimane vero che sono una minoranza importante, capace di costruire reti significative nel campo dell’assistenza, dell’educazione giovanile, e di radunare ancora centinaia di migliaia di persone ogni domenica nelle chiese della penisola. E perché, allora, una minoranza importante è così poco rilevante nella vita pubblica del Paese?
Credo che il problema sia la cultura, cioè il rapporto quasi inesistente tra la fede e la cultura, il rifiuto anche del solo tentativo di fare nascere dalla fede un giudizio culturale sui temi più importanti della vita pubblica del Paese. Prendiamo la parrocchia media italiana di una regione dove la presenza cattolica sia ancora numericamente significativa, come la Lombardia o la Sicilia. Ci troviamo la Caritas, il catechismo e soprattutto la vita sacramentale, che certamente è il primo servizio che la Chiesa deve offrire, ma quasi mai un centro culturale, che utilizzi la dottrina sociale della Chiesa per offrire ai fedeli criteri di giudizio e direttive di azione, come insegna san Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis. Ecco allora l’irrilevanza, cioè l’assenza dai problemi reali della vita di ogni giorno. Il card. Angelo Scola, quando guidava la diocesi ambrosiana, durante un consiglio pastorale diocesano, rivolgendosi ai parroci che avevano espunto dalla vita parrocchiale tutti i temi “divisivi”, disse loro che sbagliavano, perché questi problemi non possono essere ignorati. E non si tratta di indicare chi votare, visto che in questi giorni tutto viene ricondotto alle prossime elezioni, ma di fornire ai fedeli i criteri di giudizio per eventualmente scegliere chi votare, liberamente e senza attribuire alla politica doni salvifici, che la politica non può avere.
Sempre Riccardi, nella sua ricostruzione, ricorda l’esempio del partito unico dei cattolici, la DC, durante la Prima Repubblica, e del cosiddetto “ruinismo”, cioè del periodo dal 1991 al 2007 in cui il Presidente della CEI scelse di valorizzare il «progetto culturale», con il quale impegnò la Chiesa a difendere l’Italia dalla deriva laicista, dialogando con il centro-destra in nome dei principi non negoziabili.
Oggi non c’è la DC (e potrebbe anche essere un bene) e non c’è più il card. Ruini alla guida della CEI, ma c’è l’irrilevanza dei cattolici, che può essere superata soltanto da un rinnovato rapporto tra fede e cultura. Manca ancora lo strumento che possa incarnare questo rapporto. Negli ultimi mesi, senza confusioni partitiche, quasi un centinaio di associazioni cattoliche hanno dato vita a un’agenda pre-politica che vuole essere un giudizio alla luce della dottrina sociale sui problemi principali del Paese. Si chiama Ditelo sui tetti. Chi vuole, se vuole, ne prenda nota.
Pingback: "Sui Tetti", il dialogo su sostegno a natalità e sussidiarietà continua domani a Verona - Il Nuovo Terraglio