Oggi, 22 maggio, ricorrono 45 anni dall’entrata in vigore della legge 194/1978, che continuiamo a giudicare gravemente iniqua a partire dai piani culturale e antropologico. Comunque, in questa ricorrenza speriamo che in molti almeno riconoscano come sia certamente ingiusto che, di quella stessa legge, sia rimasta inattuata, per decenni e decenni, la prima parte, dedicata alla “tutela sociale della maternità”.
Siamo consapevoli come, oggi, per dare maggiori priorità e spazio alla possibilità che ogni figlio sia abbracciato dalla sua mamma sia politicamente difficile mettere radicalmente in discussione la 194. Tuttavia, i limiti dell’ azione legislativa non sono gli stessi della riflessione e del dialogo culturali propri dell’operosità anche di numerosi associazioni e corpi intermedi, che innanzitutto non possono rassegnarsi, né assuefarsi a un sistema in cui l’aborto è considerato un “diritto”, quando nemmeno nella lettera della legge 194 esiste un simile riconoscimento, recentemente escluso anche dalla sentenza della Suprema Corte americana Dobbs.
Un simile contesto consente in ogni caso importanti spazi di proposta, considerata anche la necessità di far fronte all’attuale inverno demografico. Per questo, chiediamo di fissare le seguenti priorità:
1) applicare, finalmente e con convinzione, quelle parti della legge (artt. 1, 2, 5) rimaste gravemente inattuate, in cui si afferma che la Repubblica tutela la vita umana dal suo inizio e che è compito dello Stato, delle Regioni e degli enti locali impedire che l’aborto sia considerato un mezzo di controllo delle nascite. E’, poi, giunto il tempo di togliere la cenere sul ruolo che, secondo la stessa 194, avrebbero dovuto e dovrebbero avere i “consultori”, in teoria preposti a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza, potendosi avvalere anche di associazioni di volontariato, tant’è che il previsto “colloquio” all’interno del consultorio dovrebbe riguardare anche le possibili soluzioni dei problemi proposti, ponendo in essere un aiuto a rimuovere le cause che porterebbero la donna all’IVG e ogni opportuno intervento atto a sostenere la maternità, offrendo tutti gli aiuti necessari e possibili sia durante la gravidanza sia dopo il parto. In questa prospettiva, cogliendo anche la previsione del PNRR di inserire gli stessi consultori nelle nuove “case di comunità”, non è più rinviabile una profonda riforma di questi istituti, in modo da renderli senza ambiguità efficace strumento di tutela del diritto a nascere e della tutela della maternità, ravvivandoli anche con una più stretta sinergia con quelle associazioni che in questi anni hanno concretamente aiutato decine di migliaia di mamme nel desiderio (che è di tutte le mamme!) di accogliere i propri figli anche in situazioni estreme. Lo stesso riconoscimento della capacità giuridica del concepito, peraltro implicito anche nella sentenza della Corte di Giustizia C-34/10 e in disposizioni legislative vigenti, nonché ripreso da molti anni da varie pdl, sarebbe di aiuto per applicare la parte della legge 194 che preferisce la nascita all’interruzione della gravidanza;
2) sostenere il volontariato impegnato ad aiutare le donne che subiscono un condizionamento verso l’aborto dall’ambiente in cui vivono e dalle difficoltà economiche;
3) attuare la difesa del diritto a nascere nel contesto di una vera tutela della maternità, attraverso la cultura, l’educazione, la valorizzazione del femminile e della maternità, il cui privilegio è proprio la prossimità più intima con il figlio cullato nel grembo, nella condivisione concreta delle difficoltà che indurrebbero la donna verso l’aborto.
Ci sembra, dunque, urgente uno sforzo comune, perché il riconoscimento del concepito come “uno di noi” divenga patrimonio della intera società italiana, grazie allo “stupore” che immediatamente tutti proviamo di fronte a ogni nuovo essere umano che inizia a vivere, “stupore” che accende la solidarietà, la quale dà coraggio alla speranza oltre le difficoltà. Solo educandoci a questo riconoscimento mosso dallo stupore si può vincere anche la banalizzazione della sessualità e della gravidanza, sempre più facilitate dalla diffusione di farmaci che hanno potenzialità abortive senza nemmeno rispettare i residuali vagli previsti dalla 194, per portare sul piano veramente umano il legame tra amore, vita e famiglia e costruire una progettualità nuova che vuole porre l’uomo al centro e che quindi privilegi il povero, l’emarginato e il più fragile. In tal senso, il concepito simboleggia, in forma ultima, ogni persona che apparentemente non conta, ogni uomo che è così fragile da non avere visibilità né voce. Ci auguriamo, allora, che il riconoscimento della dignità umana e del conseguente diritto alla vita di tutti -e soprattutto dei più piccoli- sia rinnovata ragione di speranza, riconciliazione e dialogo!