MEETING DI RIMINI
“Fra passione dell’uomo e cultura dello scarto
Fine-vita: dialogo alla luce del ddl 2553 Senato”
Rimini, 22 agosto 2022
VIDEO DELL’EVENTO
Intervento in scaletta: sulla “cultura dello scarto”.
I) Nel “cambio d’epoca”: la scomparsa di un’etica pubblica comune.
Nel 1996, don Giussani notava nel mondo cattolico una “traiettoria iniziata secoli prima” caratterizzata “dalla prevalenza dell’etica sull’ontologia”. Infatti, “gran parte della Chiesa si era attestata su quello che anche gli altri -detrattori inclusi- potevano capire o dovevano ammettere: l’etica fondamentale, valori morali, lasciando sullo sfondo il contenuto dogmatico del cristianesimo, la Sua ontologia, cioè l’annuncio che Dio si è fatto uomo e che questo avvenimento permane nella storia”. “Sembrava più facile appellarsi alla morale cattolica per conservare una presa sulle persone” e “non si riteneva necessario offrire ragioni adeguate per seguire la Chiesa”[1].
Ora, quel contesto di “valori condivisi” non esiste più. È subentrato un fatto sociale eccezionale, che Papa Francesco nel 2015 ha riconosciuto come un vero e proprio “cambio d’epoca”[2]. La “scorciatoia” di riferirsi a un’“etica fondamentale” è divenuta impraticabile, semplicemente perché non esiste più alcuna etica condivisa, cosicché l’invito di don Giussani a lasciarsi interrogare dall’ontologia diventa -grazie a Dio- ineludibile. E la relazione di Mons. Gallo che abbiamo appena ascoltato è un esempio evidentissimo di come il Magistero annunci nuovamente la bellezza di un’ontologia per una vera e affascinante “passione per l’uomo”.
La stessa provocazione ci viene portata anche sulla dimensione pubblica, in quanto il “cambio d’epoca” non è più solo un profondo mutamento culturale e sociale, ma da alcuni anni sta provocando anche una metamorfosi radicale dell’utilizzo delle leggi e del diritto.
E proprio la questione di cui ci occupiamo oggi è emblematica di questo fenomeno.
A lungo, infatti, la “vita” è stata considerata dalla stessa trama costituzionale[3] un valore assoluto da tutelare sempre, senza “se e senza ma”, cioè “senza distinzioni di condizioni individuali” come recita l’incipit della legge 833/78 nel definire il Servizio Sanitario Nazionale[4]. Perché l’etica sembrava scontata.
II) I tratti del modello antropologico del “secondo individualismo”.
Da alcuni anni, invece, si susseguono leggi con l’evidente pretesa di veicolare una antropologia molto diversa da quella per cui la vita è sempre un valore assoluto.
Fissiamo schematicamente due sintetici tratti di questa diversa concezione dell’umano, presenti nelle leggi del cambio d’epoca, compresa la proposta sul “fine vita”.
La prima evidenza antropologica, indicata da Alfredo Mantovano dal 2019, é la affermata equivalenza fra la “dignità” della vita e una assoluta “autodeterminazione”[5]. Ma se il valore della vita risiede nella capacità del singolo di essere totalmente autodeterminato, autonomo, possessore del reale, quando non è in queste condizioni -nella fragilità, nella debolezza, nella malattia irreversibile- il suo valore e il suo significato diminuiscono e quindi la sua vita può essere scartata. L’esistenza non ha più un valore assoluto sempre, ma diviene a “dignità variabile” e lo sbandierato mito dell’autodeterminazione si risolve nella logica e nella cultura dello scarto, secondo l’acutissima intuizione di Papa Francesco[6].
La seconda evidenza antropologica è un corollario della cifra individualista della prima. Se conta solo l’”autoreferenzialità”, come ha indicato il Cardinale Zuppi[7], le relazioni con gli altri e con la realtà divengono vincoli negativi, che vanno negati e rimossi[8].
III) La sequenza del “nuovo diritto”.
L’antropologia di questo “secondo individualismo” è la filigrana di un impressionante numero di leggi e sentenze apparse nell’ultimo decennio. Ne citiamo solo alcune, giusto per documentare la concretezza del “cambio d’epoca”:
- 2015: con la legge 55 è divenuta facilissima la “liberazione” dal vincolo matrimoniale, peraltro derubricato a mero fatto privato;
- 2016: con la legge 76 sono stati introdotti modelli para-familiari, le “unioni civili”, senza gli “odiati” vincoli di fedeltà, di responsabilità e di apertura alla vita;
- 2017: con la legge 219 lo Stato non deve più tutelare la vita “sempre”: ora il SSN nazionale deve piuttosto proteggere la “dignità” dell’esistenza, a sua volta rapportata al grado di autodeterminazione;
- 2018 e 2019: la Consulta per due volte ha ordinato al Parlamento di consentire per legge il suicidio medicalmente assistito quando la vita non fosse più “dignitosa”[9];
- 2020: il 4 novembre la Camera ha licenziato il DDL Zan, con il tentativo di imporre il soggettivismo e il relativismo assoluti propri dell’ideologia “gender”.
IV) I tratti neo-individualistici del ddl 2553 Senato sul “fine-vita”.
Veniamo al “fine-vita”. Nel 2021, la Camera dei deputati ha proseguito la sequenza accennata, approvando il 9 dicembre 2021 la Pdl sulla c.d. “Morte Volontaria Medicalmente Assistita” (anche pdl Bazoli) che ha poi assunto il n. ddl 2553 al Senato, decaduto per l’anticipato scioglimento del Parlamento. La decadenza di tale proposta legislativa non può far dimenticare, anche a futura memoria, almeno cinque profili che lasciavano ben trasparire una filigrana antropologica con impressi i tratti propri della “cultura dello scarto”, peraltro distanziandosi sensibilmente dai canoni indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242/2019, come poi verrà approfondito dal Procuratore di Avellino.
- Per gli artt. 1 e 3, c 2, lett. a) e b), il valore della persona sta solo nella sua capacità di autodeterminazione. Infatti, viene prospettata la morte con il supporto del SSN anche solo in presenza di “patologie irreversibili e con prognosi infausta”, quali sono ad es. le diffusissime patologie neurodegenerative con esito fatale di per sé molto distante nel tempo o addirittura per mere “condizioni cliniche irreversibili”, quali sono handicap fisici o psichici[10]. Dunque, la condizione ritenuta ablativa di significato per l’esistenza non è nemmeno la terminalista, ma ogni situazione in cui non vi sia una piena capacità di autodeterminazione, dunque -si badi bene- anche l’essere disabili!
- In secondo luogo, si nota l’esaltazione del soggettivismo e la conseguente negazione della relazione come dimensione significativa per la persona. All’art. 3, comma 2, lett. a) il parametro della “sofferenza” è lasciato alla mera percezione del soggetto al quale, a sua volta, non viene assicurato, come si vedrà, un reale intervento di cura e presa in carico del suo dolore[11]. Non solo: in sede di voto finale della Camera è stato espressamente eliminato dall’art. 5 il parametro del contesto familiare e sociale. L’individuo può decidere esclusivamente da “solo”.
- L’art. 7 considera essenziale per procedere a “dare la morte” il giudizio etico dell’apposito comitato di “dignità/non dignità” di una vita, e ciò ancora sulla base di un parametro antropologico di equivalenza fra autodeterminazione e significato dell’esistenza.
- L’art. 5, comma 8 e l’art. 11, comma 2, creano un vero e proprio “diritto a morire”, da un lato, e un obbligo di prestare la morte per il SSN, dall’altro, ipotesi che implicano la completa “disponibilità” della vita, esclusa in questi termini dalle sentenze della Corte n. 242/19 e n. 50/22.
- Il cambio del riferimento antropologico produce anche la metamorfosi delle Istituzioni. Così, l’art. 2, comma 3, non affida più al SSN la cura “in ogni condizione”, bensì la ben diversa “tutela della dignità e dell’autonomia del malato” (lett. a). Inoltre, il testo, contravvenendo gravemente la sentenza 242/2019, non prevede che per decidere liberamente il soggetto debba aver effettivamente ricevuto le cure palliative, che dovrebbero essere il primo “diritto essenziale” assicurato dal SSN!
V) Le ragioni dell’uso prioritario della legge e del diritto nel “cambio d’epoca”
Sono almeno due le ragioni che spiegano un utilizzo tanto imponente della leva legislativa e giuridica nel “cambio d’epoca”.
1) Il costituzionalista Simoncini[12] spiega che la legge e il “diritto” (assieme alla “tecnica”) “sono diventati gli strumenti fondamentali per <tagliare i> legami. E per questo diritto e tecnica oggi sono i baluardi della libertà moderna”.
2) Dobbiamo poi ricordare la funzione propria della “norma”, come rimane illuminata da secoli da San Tommaso, che nella Summa Teologica chiarisce che una “legge” “non [é] che una prescrizione della ragione, in ordine al bene comune, promulgata dal soggetto alla guida della comunità”[13]. Una decisione normativa, dunque, “sceglie” -sempre- qualcosa ritenuto un “bene per tutti” e indirizza -sempre!- l’intera comunità civile verso quello stesso ritenuto “valore”. Ce lo indica, con molta immediatezza, anche il linguaggio, che utilizza l’aggettivo “legale” come sinonimo di “buono”, di “positivo”.
Allora, le leggi del “cambio d’epoca” incideranno molto sulla cultura generale del popolo e sulla educazione di ciascuno di noi. E l’habitus dello sguardo di ciascuno sull’“altro” potrà progressivamente mutare da una posizione di attenzione, di com-passione e di cura a una postura di abbandono e di scarto. Si avvera, dunque, la profezia di Benedetto XVI: “Oggi la questione sociale è diventata radicalmente antropologica”[14].
VI) L’incidenza del nuovo fenomeno normativo del “cambio d’epoca”.
Come possiamo giudicare ciò che viene proposto/imposto dal “cambio d’epoca” nelle leggi? Quali passi personali e pubblici ci chiede? Soccorre, icastico, don Giussani: “Questa è la prima cosa che corrisponde al cuore: io non c’ero, se voglio esserci devo seguire un altro. E chi mi parla dell’uomo in questo modo ha ragione. E chi mi parlasse invece, dell’uomo come padrone del suo destino, capace di essere -«Volli, sempre volli, fermissimamente volli» alla Alfieri-, mi inganna: è un inganno”[15], [16].
Dunque, soprattutto di fronte all’incalzare di condizionamenti sull’idea stessa dell’umano ci è chiesto “un lavoro su di sé che ci renda coscienti che concepire l’io come il tutto della vita -perché questo è il problema dell’individualismo: concepire l’io come il dio, l’idolo della propria vita-, non è una posizione che porta alla felicità”[17]. Ma è un lavoro ragionevole, che possiamo proporre a tutti? Si, perché -come ci ricorda uno dei massimi pensatori liberali italiani, Dario Antiseri- “l’uomo non è un costruttore di senso, bensì un mendicante di senso”[18].
Quindi, interrogarci sulla sfida antropologica in atto non può che appassionare la ragione di tutti. Così, come laici abbiamo il compito di avere consapevolezza del “cambio d’epoca” in cui siamo immersi, indicando pubblicamente, assieme e “sui tetti”, che l’utilizzo delle leggi e del diritto per affermare l’antropologia neo-individualista inciderà nello spostare ulteriormente la mentalità in una direzione irragionevole, perché opposta rispetto all’ascolto delle domande di cui è maggiormente intriso il nostro cuore. Al tempo stesso, proprio accorgendoci di quanto non corrispondano alle attese di ognuno l’esito nichilistico e lo “scarto”, sobbalziamo e ci stupiamo -come forse non poteva più accadere nella “precedente epoca”- per la bellezza umana[19] di uno sguardo sull’uomo per cui anche “i capelli del capo sono contati” (Lc 12,1-7), per cui le crepe che accadono nella vita possono avere speranza e senso perché lasciano trasparire in modo privilegiato la “luce” che la ragione e il cuore attendono[20].
Allora questa “epoca cambiata” appare paradossalmente un tempo privilegiato, perché ci provoca a “difendere la ragione” proprio “per esser cattolici”[21], come profetizzava il card. Newman all’unisono con la speranza espressa dalle parole inizialmente citate di don Giussani di saper “offrire ragioni adeguate per seguire la Chiesa”.
Nel cambio d’epoca, pertanto, come laici siamo chiamati ad animare un inedito spazio pubblico, pre-politico, che nella “precedente epoca” poteva sembrare privo di senso, per offrire -a tutti e pubblicamente- un dialogo su prospettive generate da una speranza che testimoni una possibile antropologia, anzi una ontologia, capace di accogliere tutto l’umano, soprattutto nelle “periferie” e nelle fragilità in cui si svolge la vita. In questo senso, per il tema di cui ci occupiamo oggi, anche le cure palliative e una assistenza domiciliare h24 sono controproposte che veicolano una concreta “passione per l’uomo” e che hanno ragioni preferibili rispetto a quella “cultura dello scarto” che avanza anche in proposte quale era il ddl 2553, come potremo ascoltare in modo privilegiato dai medici palliativiste che interverranno.
Domenico Menorello, coordinatore Pubblica Agenda “Sui tetti”
Note:
[1] LUIGI GIUSSANI, L’uomo e il suo destino. In cammino, Marietti, 1999, pag. 63-74, citato in LUIGI GIUSSANI, Dare la vita per l’opera di un altro, a cura di Julian Carron, BUR, 2021, pp. I, II
[2] PAPA FRANCESCO, Incontro con i rappresentanti del V convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015
[3] cfr. sentenze Corte costituzionale n. 54 del 1979 e n. 223 del 1996
[5] Cfr. AA.VV., Diritto o condanna a morire per vite inutili? Cantagalli, 2019
[6] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, Roma, 5 giugno 2013
[7] Card. MATTEO ZUPPI, Riaprire ora vita e speranza. Disincanto, valori e scelte forti, Avvenire, 13 agosto 2022
[8] STEFANO ZAMAGNI, Intervista all’Osservatore Romano, 22 maggio 2019: “Oggi -spiegava Stefano Zamagni– siamo entrati nella seconda secolarizzazione che è ben resa da quest’altro aforisma: bisogna comportarsi etsi communitas non daretur, come se la comunità non esistesse”
[9] Cfr. ord. 207/2018 e sentenza 242/2019
[10] Nella norma è prevista anche la presenza di trattamenti sanitari di sostegno alla vitalità, senza che sia indicato alcun parametro di definizione degli stessi,
[11] Sovviene BYUNG-CHUL HAN, La società senza dolore, Einaudi, 2021: “il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare”, perché “non compatibile con la performance” e con una “società dominata dal poter fare”.
[12] ANDREA SIMONCINI, Intervista all’Osservatore Romano, 30 maggio 2019
[13] TOMMASO D’AQUINO, Somma teologica, I pars, q. 90, a. 4
[14] BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, par. 75
[15] LUIGI GIUSSANI, Si può (veramente?!) vivere così? BUR, 1996, pag. 222, cit. in JULIAN CARRON, C’è speranza?-Il fascino della scoperta, Editrice nuovo Mondo, pag. 40
[16] Cfr., poi, Ibidem, pag. 144: “è razionale seguire un altro, obbedire a un altro, «quando mi comunica e mi rivela una concezione della vita e del suo destino cha poggia tutta quanta sulle esigenze originali del cuore”
[17] MAURO GIUSEPPE LEPORI, Cristo, vita della vita-Esercizi della fraternità di Comunione e liberazione , Editrice Nuovo Mondo, 2022, pag. 50
[18] DARIO ANTISERI, Perché l’uomo continua a credere, Morcelliana, 2020
[19] Cfr. Card. PIETRO PAROLIN, Lectio al convegno dell’Agenda “sui tetti” del 9 marzo 2022, in Roma, www.suitetti.org
[20] Cfr. GEMMA CALABRESI MILITE, La crepa e la luce, Mondadori, 2022
[21] John Henry Newman: «È venuto il tempo in cui i cattolici, che vivono di fede, per essere tali devono difendere la ragione
DICONO DI NOI:
Il Nuovo Terraglio: https://ilnuovoterraglio.it/al-meeting-di-rimini-un-webinar-sul-fine-vita/
Il Nuovo Terraglio, intervento del Sen. Matteo Salvini: “Matteo Salvini condivide i valori di “Ditelo sui Tetti” in difesa della vita dall’inizio alla fine (video)”
Il Timone: https://www.iltimone.org/news-timone/menorello/